Zona Franca in Sardegna: sì, ma quale?
Salvatore Cherchi
Salvatore Cherchi
Zona Franca in Sardegna: sì, ma quale?
Relatore: Salvatore Cherchi. Il dibattito sulla zona franca in Sardegna occupa periodicamente il centro del dibattito politico e culturale isolano, caratterizzandosi per un confronto spesso marcato da una sostanziale ignoranza dei suoi termini di fondo: si vuole offrire un contributo scientifico in merito
Parleremo di Zona Franca, anzi di Zone Franche, perchè ce ne sono molte al mondo e di diverse qualità; ne ragioniamo per capire se è un qualcosa che, come nel resto del mondo, possa andare bene anche in Sardegna.
La Sardegna, come sappiamo, è un isola del Mediterraneo, lo dico per chi magari ci ascolta da lontano, piuttosto grande, 24.000 kmq, però poco popolata, appena 1.650.000,000 persone. È una regione ad autonomia speciale, cioè può fare cose che le altre regioni italiane non posso fare. La situazione non è bella, invece di andare avanti, regrediamo. Da dieci anni a questa parte la produzione ed il reddito dei Sardi era quasi il 90% della media europea; oggi si attesta in 10 punti meno. Invece di andare avanti siamo tornati indietro. La cosa più negativa è che ci sono troppi disoccupati, soprattutto fra i giovani, di cui 1 su 2 è senza lavoro. Dunque questa è la situazione della Sardegna.
Adesso dobbiamo soffermarci sul da farsi, non si tratta di una sola cosa, ma di diverse misure da adottare per uscire da questa situazione. Ragioniamo dunque sulle zone franche, per capire se almeno sotto qualche aspetto, questa soluzione, se non al 100%, possa essere utile per il futuro.
Parlare di Zone Franche non è facile, ce ne sono di diversi tipi: possiamo utilizzare una definizione della Banca Mondiale, che le definisce Zona Economica Speciale, una concetto più ampio, e cioè luoghi delimitati, in cui opera una Autorità unica, e dove le imprese che ivi lavorano hanno regolamenti, tasse e servizi che ne favoriscono la crescita.
In questo senso sono zone speciali; zona franca può essere un termine equivoco. Al mondo ce ne sono diverse; anzi notiamo che il loro numero è in aumento: dal censimento del 1998 ne risultavano quasi 1.000, ma dieci anni dopo erano 3.500 sparse tra Asia, Africa ed anche in Europa. Queste ultime sono di particolare interesse, perché viviamo in Europa e le regole sono ovunque le stesse: nei suoi confini, ciò che si può fare in un posto, lo si può fare anche in un altro.
Per esempio la prima Zona Franca moderna, o Zona Economica Speciale, è nata in Europa in Irlanda, a Shannon nel 1959, e oggi, nel 2014, gli irlandesi hanno deciso di prorogarla per altri 20 anni (vuol dire che hanno avuto buoni risultati) ed è stata destinata allo sviluppo della Green Economy, che nasce dalla volontà di affrontare diversamente dal passato i temi dell’industria, dell’ambiente e dell’energia.
Altre Zone Franche sono sorte in poco tempo: in Polonia ce ne sono 14, in cui sono occupate 240.000 persone, nate poco prima che questa entrasse nella UE ma prorogate fino al 2026: visti i buoni risultati, verranno mantenute fino a che è possibile. Naturalmente ci sono anche i casi di insuccesso, oltre ai casi positivi, quelli negativi, ma la sostanza è questa.
Le Zone Franche sono numerose e sono in aumento, perché cresce il commercio, c’è la globalizzazione, e le imprese si organizzano diversamente, cambia la produzione e la distribuzione dei beni. Tuttavia, non è detto che ciò che funziona in una zona, sia applicabile anche in Sardegna, va verificato; va dimostrato; dobbiamo quindi vedere se va bene anche in Sardegna e perché; dobbiamo ragionarci e capire che tipo di zona può andare bene rispetto ad un’altra, e vada dunque scelta tra le tante.
Un aspetto caratteristica della Sardegna, e di altre regione simili, è il nostro bisogno di capitali, di nuove imprese per produrre; il nostro è un piccolo mercato, 1.650.000,000 persone, ma abbiamo bisogno di investimenti per produrre ciò che vendiamo all’esterno. A questo servono i capitali. Dove vanno i capitali? I capitali seguono la scia dei soldi.
Un aspetto evidenziato da tutti gli economisti è che la Sardegna è penalizzata in quanto area periferica, cioè lontana dai centri europei, la Germania, la Pianura Padana, la Francia dove le economie sono molto più forti. Quindi Se i capitali vanno in queste zone, dobbiamo trovare un altro elemento che bilanci questo scompenso, a meno di non essere competitivi.
C’è anche un altro fattore: se confrontiamo la situazione delle imprese sarde con quelle polacche, bulgare o dell’Irlanda notiamo che il mercato è uguale per tutti, in Europa siamo 500 milioni, tutti consumatori, ognuno dei quali può entrare nel mercato, ma le imprese che producono beni da vendere, sono tassate molto diversamente. Per esempio un impresa che opera in Sardegna è tassate più di tre volte di una di stanza in Bulgaria: a parità di prodotto finito e venduto nello stesso posto, i costi sono diversi. Ci sono dunque norme che vanno ripensate se vogliamo attirare capitali ed investimenti.
Quale Zona Franca adottare?
Ce ne sono almeno di due tipi: una è rivolta ai consumatori, i porti franchi, dove si va a comprare liquori ed altre cose del genere; a me questa non piace, perché se siamo solo consumatori e non produttori non si genera lavoro. Serve dunque una Zona economica speciale o Zona Franca che favorisca il lavoro: si tratta di attirare capitali per produrre beni o servizi, non solo di consumare.
Questa è la prima distinzione da fare. Ma come intervenire?
L’esperienza altrui ci può aiutare, non è fondamentale pensare a tutta la Sardegna: nel caso dell’Irlanda, quello più antico che conosciamo meglio, sono partiti da tre ettari e poi si sono allargati secondo il bisogno. E’ importante avere un progetto ed una rea delimitata. In Sardegna possiamo partire dalla zona del porto di Cagliari: Cagliari ha un porto importante, dotato di un terminal container, ospita navi da tutto il mondo ed ha una zona industriale contigua; allo stesso modo abbiamo la zona di Porto Vesme o Porto Torres.
Abbiamo una legge, la n. 75 del 1998, che ci dava la possibilità di istituire sei Zone Franche. Diversamente dalle altre regioni italiane possiamo applicare una legge e partire: queste, le zone franche doganali, rappresentano comunque un vantaggio. Non avendola istituita noi nel ’98, l’anno dopo si è sviluppata a Tangeri, sempre nel Mediterraneo, in una situazione più favorevole, quella che è considerata oggi la zona franca portuale più importante al mondo. Mentre gli altri facevano, noi stavamo discutendo se fare la Zona Franca in tutta la Sardegna o solo in una sua parte. Si deve dunque partire da qui, da ciò che possiamo fare a Cagliari, Porto Torres, Porto Vesme e procedere: abbiamo a disposizione tutti i vantaggi della zona franca doganale, che non sono vantaggi di poco conto, ma non bastano.
In una Zona Franca ci vuole anche poca burocrazia, e qui la Regione potrebbe intervenire, avendo a disposizione tutti gli strumenti per regolamentarne il diritto d’uso da applicare. La Regione può anche deliberare sulle tasse perchè con la nuova sentenza, come abbiamo dimostrato, si possono addirittura eliminare le tasse da parte della Regione, come quelle sul lavoro e sul reddito.
Per altri aspetti specifici bisogna chiedere l’autorizzazione della UE, e noi dobbiamo avere la forza di farlo, perché non siamo alla ricerca di una situazione di vantaggio, perché si tratta di compensare, come detto, una precedente situazione sfavorevole, di bilanciarla: l’Europa deve trattare tutti in maniera giusta e darci ciò che si spetta per far fronte a tutti quegli elementi di base che ci penalizzano rispetto agli altri.
In conclusione, è necessario fare le cose e penso che chi governa la Regione farebbe bene a lasciar perdere l’idea della Zona Franca estesa a tutta la Sardegna, perché impossibile, e scegliere una zona, per esempio Cagliari, Porto Vesme, Oristano o Porto Torres, che sono aree industriali che già dispongono di servizi, e procedere concretamente.
Ciò che vi volevo dire è che studiandoci sopra, e al di fuori delle ideologie e delle contrapposizioni da campagna elettorale, è giusto fare qualcosa, si può fare, abbiamo una legge a disposizione, e da tutti gli studi fatti risulta che sia una misura che può aiutare la Sardegna: non risolve tutto, come detto, ma ci aiuta concretamente.
Ho finito: vi ho detto in poche parole ciò che mi sembra la cosa giusta da fare in Sardegna, e speriamo si faccia effettivamente.
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