Decent Work, una sfida globale Giovanni Pinna

Giovanni Pinna

Decent Work, una sfida globale

Relatore: Giovanni Pinna. Analisi delle ragioni e degli obbiettivi che caratterizzano la campagna mondiale orientata a tutelare la dignità del lavoro e la difesa del salario minimo attraverso azioni di responsabilizzazione per un più equo utilizzo a questo fine della leva del finanziamento pubblico da parte dello Stato.

Buongiorno a tutti,

nella mia conferenza si parlerà di lavoro, lavoro in tempi di globalizzazione: non tutti considerano che le decisioni che hanno ripercussioni sul mondo del lavoro a livello locale o nazionale vengono spesso prese da un’altra parte.

C’è un gran silenzio in merito al fatto che l’ONU abbia messo il Decent Work fra gli Obbiettivi della Sviluppo Millennio, considerandolo come fattore determinante per la dignità dell’uomo.

Voglio porre l’accento sulla responsabilità che le istituzioni pubbliche devono assumersi per fare del Decent Work un elemento cardine della propria attività; nonostante l’impegno dell’ONU, molti dei paesi aderenti non seguono le sue indicazioni.

E’ assodato che i principali effetti negativi della globalizzazione sono causati dalla speculazione finanziaria e dalla imprenditoria speculativa, ma vorrei soffermarmi sul problema della delocalizzazione delle attività produttive. Questa è una tipica scelta di imprenditoria speculativa, perché trasferisce la produzione da un paese dove il lavoro è più dignitoso, ha più garanzie, ad uno dove la condizione del lavoro rispecchia la povertà del paese di destinazione.

Secondo un rapporto dell’ILO (Organizzazione internazionale del lavoro presso l’ONU) sul rapporto tra condizione del lavoro e globalizzazione, emerge che a causa della delocalizzazione si è verificata una azione di dumping contrattuale, innescata da uno scontro commerciale, che ha eroso anche i diritti dei lavoratori dei paesi economicamente più forti. Dunque, sembrerebbe che per migliorare le condizioni del lavoro nei paesi più svantaggiati, sia necessario peggiorarle nei paesi più industrializzati…

L’ultimo rapporto dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) rileva che l1% della popolazione mondiale detiene il 50% della ricchezza del pianeta: alla base dell’affermazione e della diffusione del Decent Work, c’è un problema mondiale di ri – distribuzione della ricchezza.

Negli ultimi cinque anni il 90% della popolazione mondiale lavoratrice ha visto diminuire il proprio reddito, in un quadro in cui il diritto ad associarsi o a scioperare è vietato e perseguito in 44 paesi.

In quest’ottica, il Decent Work impegna tutti gli stati aderenti all’ONU, stabilendo che un lavoro per essere dignitoso deve:

– essere duraturo e stabile;

– avere una retribuzione che consenta al lavoratore di vivere dignitosamente;

– prevedere e consentire la libertà di associarsi e farsi rappresentare;

– garantire le necessarie tutele sul lavoro e una adeguata protezione sociale.

Nelle realtà in cui una di queste condizioni viene a mancare, non si può parlare di Decent Work.

Tuttavia, sta emergendo un elemento positivo rispetto al quadro su delineato, e cioè l’affermazione del salario minimo tra le politiche sociali ed economiche di alcuni stati: in Germania è stato recentemente sancito con una legge. Peraltro, il Fondo Monetario Internazionale ha lanciato ai Tedeschi un preciso avvertimento: l’imposizione del salario minimo comporterà come effetto controproducente la perdita di 60.000 posti di lavoro. Dunque, lo sconsiglia.

Non a caso, l’FMI sostiene che le nazioni più sostenibili finanziariamente sono quelle che hanno l’indice fiscale migliore, cioè quando per un imprenditore il costo del lavoro (welafare, sicurezza, etc.) risulta più basso. D’altro canto, emerge in tutta evidenza il fallimento a livello mondiale delle politiche di austerità fiscale, che è palese che non producano occupazione e non diminuisce il debito pubblico.

Il Decent Work ha dunque un valore strategico straordinario: in questo scenario globalizzato, ciò che non è più accettabile è il silenzio delle istituzioni rispetto al loro ruolo in merito alla dinamica speculativa che abbiamo delineato, e di cui il lavoro paga le conseguenze.

Gli stati devono sancire un nuovo patto mondiale sul lavoro, così come riescono a fare, per esempio, di fronte alla minaccia del terrorismo globale. Se le condizioni del lavoro peggiorano, è a rischio la dignità delle persone: credo quindi che per quanto riguarda tutti gli investimenti riguardanti la spesa pubblica, gli stati debbano vincolarsi ai parametri che caratterizzano il Decent Work.

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